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Alessandro Ongaro

"Spazi armonici"

GUESTBOOK
The exhibition ended on 31/12/2021

BIOGRAFIA


Alessandro Ongaro nasce a Firenze il 30 ottobre 1928, manifesta presto una predisposizione per l'arte, tanto che all'età di 6 anni viene inviato alla scuola privata delle sorelle Tempestini per apprendere i primi rudimenti del disegno e delle tecniche di pittura, compresa la fabbricazione artigianale dei colori. Quattordicenne, si trasferisce a Venezia per frequentare il Liceo Artistico. Nella città lagunare, dove vive gli anni della guerra lontano dalla famiglia, fra grandi ristrettezze economiche, riesce a finire gli studi grazie ad una borsa di studio, qui il giovane Ongaro forma la sua personalità artistica. Nel 1953 congedato dal servizio militare rientra a Firenze, qui incontra una giovane impiegata, che da ventenne sposa. Nel 1963 la famiglia si trasferisce a Scandicci e diventa libero professionista, aprendo un suo studio a Firenze. Il lavoro lo porta a Porderone, Varese, Torino Giappone, in questo periodo realizza mobili, gioielli, sculture in legno e altri piccoli oggetti d'arte. Ma è la pittura in cima alle sue arti. Nel 1971 inaugura una prima personale importante alla galleria d'arte Parione,  dove il critico Massimo di Volo vede la rievocazione del surrealismo e delle forme fluide di Mirò. Quattro suoi disegni sono presenti al Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi. 


CRITICA


Per fortuna, ogni tanto, c'è qualcuno che ci ricorda che alla base delle diverse attività artistiche (pit¬tura, scultura, design, artigianato ad esempio) c'è un'unità metodologica. Una volta per tutte lo indicò Walter Gropius con l'insegnamento della progettazione artistica nella Bauhaus (1919-'33).
Alessandro Ongaro, che da anni ha lavorato silenziosamente, sembra aver esercitato quel principio gropiusiano, innestandolo in una cultura saldamente confidente con l'arte toscana e, di questa, con la cromia del primo-Rinascimento ove non è difficile riconoscere l'intensa suggestione della distesa pittura di Paolo Uccello. Ma vediamo di spiegarci meglio e, soprattutto, andiamo per gradi.
Alla base dell'opera di Ongaro sta il disegno: proprio il disegno, nel senso che il Baldinucci dà al termine nel suo «Vocabolario toscano dell'arte del disegno» (1681): di « apparente dimostrazione con linee di quelle cose, che prima l'uomo coll'animo si aveva concepite, e nell'idea immaginate... ».
Credo che pochi altri esercizi artistici corrispondano, nella loro processualità, come quelli dell'Ongaro alle indicazioni baldinucciane.
L'opera del nostro artista infatti, che si esprime con la grafica, con l'acquarello, e con la pittura a olio, riposa su una metodica estremamente razionalizzata, articolata in alcuni passaggi che mette conto indicare:
— realizzazione di uno spettro compositivo di base, definito con «linee di armonia»; individuazione e definizione grafica (in genere, lineiforme) del soggetto;
— sovrapposizione del soggetto alle «linee di armonia »;
— risoluzione (campitura) grafica, a tratto;
— risoluzione cromatica, a olio o ad acquerello.
Nel caso della pittura a olio c'è un passaggio in più, perché Ongaro non rinuncia al rigore delle fasi preparatorie ed è così, conseguentemente, costretto a riportare sulla tela — ancora candida — una sorta di « cartone » che è appunto il processo grafico-compositivo di preparazione. E per la stessa pittura a ol o c'è ancora un complemento: una specie di arabesco, di dolce e finissimo tormento dello spessore del colore che egli effettua con una punta sottile che ricorda gli alesatori da orologiai. Ne viene fuori un vero e proprio « tessuto pittorico », che è poi uno dei tratti distintivi della sua tecnica artistica.
Così, lo studio dell'artista, piuttosto che al consueto ostentato disordine dei pittori assomiglia più ad un rare atto ed asettico laboratorio di ricerca spaziale.
Ma allora, quali sono i soggetti dell'artista e dove cercare le radici della sua poetica?
I soggetti sono quelli di sempre, universali: il nudo femminile, i cavalli, gli uccelli dell'aria, gli alberi.
Ma i quadri non hanno titolo, come non hanno data, per libera scelta dell'autore (« prima del soggetto,
che ha un'importanza relativa, va colta l'armonia proposta »): sono pezzi nel tempo, ma senza tempo.
E per riferimento filologico, non saprei riandare se non a Klee (non a caso anch'egli nella Bauhaus) e in particolare alle sue « Drei Tùrme » (Tre torri), al « Cehobener Horizont » (Alto orizzonte), ma soprattutto allo splendido « Scheidung Abends » (Separazione di sera), ove è quasi ravvisabile la griglia armonica di base e la gradazione cromatica blu-viola con cui l'Ongaro ha stabilito un rapporto di grande suggestione. Ma c'è dell'altro nell'arte e nei soggetti ongariani: c'è un recupero rarefatto e sensibile, si è detto, di certa cultura rinascimentale. Provate a socchiudere gli occhi, riportate a mente i cavalli della « Battaglia di San Romano » di Paolo Uccello. Non è un caso che a Paolo allora non interessasse il significato eroico, né la realtà storica, quanto lo sfolgorio dei vessilli, dei ci¬mieri e dei pennacchi, il ritmo delle lance, l'armonia e l'immobilità subitanea dei cavalli e degli uomini.
E cos'è infatti quest'arte, questa insinuazione dell'Ongaro se non una lezione e un invito a riflettere sull'armonia come valore primario, essenziale, senza tempo, appunto?
Francesco Gurrieri


La forma pittorica dì Alessandro Ongaro sí differenzia sostanzialmente da quanto é oggi in circolazione nel campo dell’arte, almeno in Italia.
La vena surrealista evidenziata nelle sue opere - rese con segno accurato e sapiente uso del colore - lo allinea semmai a quel (gruppo di artisti che avevano i loro profeti in Andrè Bréton e Guillaume Apollinaire.
Una fonte di ispirazione ancora attuale, non legata a formule o simboli, essendo il
surrealismo pura fonte di spirito costa a contestare la realtà più cruda della vita.
E se anche nelle forme elaborate da Alessandro Ongaro ci pare rievocato il mondo fantastico di un Victor Brauner o di Mirò, questi ci sembrano esempi altissimi che un artista fa bene a non dimenticare.
Così l’Ongaro ripropone in una sua vena personale, un modo di fare e un linguaggio non provinciale, cosmopolita e comprensibile in ogni angolo del mondo, là dove il pensiero e lo spirito sanno prevalere sulla realtà.
Un artista da seguire con attenzione e al quale auguriamo più spaziose frontiere.
Massimo di Volo




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